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La superbase più forte del mondo

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Le superbasi sono basi forti altamente selettive nei confronti dei protoni ovvero sono “spugne di protoni” che riescono a legare solamente lo ione H+ che è estremamente piccolo e nessun altro tipo di catione.

Le superbasi sono particolarmente importanti nell’ambito delle sintesi organiche al fine di deprotonare acidi debolissimi.

Fino a circa trenta anni fa l’anione CH3 era la base più forte conosciuta fin quando nel 2008 fu ottenuto l’anione LiO che ha una basicità maggiore.

Per ottenere una superbase con forza maggiore le ricerche si sono orientate verso anioni che hanno due cariche negative. Tali ioni, tuttavia, sono molto instabili a causa della repulsione tra le cariche negative adiacenti.

Facendo uso della chimica computazionale i chimici dell’Università di Wollongong in Australia avevano previsto che l’anione o-dietinilbenzene potesse essere stabile.

Partendo dall’acido 1,2-benzendicarbossilico noto come acido ftalico tramite una tecnica di ionizzazione evaporativa detta elettrospray  si è dapprima ottenuto il dianione dicarbossilato e tramite processi di decarbossilazione è stato ottenuto il dianione

anione o-dietinilbenzene

Le conseguenze più ampie di questa ricerca che includono la possibilità di nuove conoscenze su anioni, controioni inerti  e basicità  possa avere un impatto in aree commercialmente importanti della chimica come il reforming del petrolio, la catalisi nella polimerizzazione, la tecnologia delle batterie e delle celle a combustibile e potrebbero essere ottenute nuove molecole


Teflon

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Il teflon PTFE o politetrafluoroetene è un polimero termoplastico non infiammabile, duro e ceroso ottenuto per polimerizzazione del tetrafluoroetene CF2=CF2.

Il teflon è caratterizzato da una superficie scivolosa, elevata temperatura di fusione e resistenza agli attacchi della gran parte delle sostanze chimiche.

Il teflon fu scoperto casualmente nel 1938 dal chimico statunitense Roy Plunkett presso i laboratori della DuPont nell’ambito dei sui studi sui gas refrigeranti  trovò che in un cilindro contenente un gas costituito da tetrafluoroetilene non vi era più gas ma un materiale solido. Fu compreso che era

avvenuta una polimerizzazione con ottenimento di un materiale scivoloso e impermeabile.

Il polimero fu adoperato nelle Seconda Guerra Mondiale come rivestimento di metalli per proteggerli dalla corrosione ma le sue prestazioni furono particolarmente apprezzate nel Progetto Manhattan.

Per arricchire l’Uranio dell’isotopo 235 viene infatti usato il fluoro gassoso che doveva essere contenuto in un materiale inerte; all’epoca non si conosceva una specie con queste caratteristiche e la DuPont propose l’utilizzo del teflon.

Per oltre un decennio successivo alla guerra il teflon non fu molto usato fin quando la stessa DuPont nel 1960 realizzò per prima le pentole antiaderenti. Da allora gli usi del teflon nei campi più svariati si sono moltiplicati: dalla produzione di chip per computer, come isolante per cavi nel campo delle telecomunicazioni, nel rivestimento di strutture architettoniche alle tute spaziali.

I rubinetti delle vecchie burette erano fatti di vetro smerigliato e andavano ingrassati prima dell’uso con grasso

siliconico il cui dosaggio non era semplicissimo: se in eccesso intasava il foro e se in difetto non consentiva la rotazione. Ora i rubinetti di arresto sono fatti tutti di teflon molto più pratico e maneggevole. Ma che nostalgia…

Per ottenere il monomero di partenza si parte dalla clorurazione del metano usando alla temperatura di 350-450°C in presenza di ossido di alluminio o di zinco come catalizzatore secondo la reazione:

CH4(g) + 3 Cl2(g) → CHCl3(g) + 3 HCl(g)

Il triclorometano ottenuto dalla reazione viene fatto reagire con fluoruro di idrogeno secondo la reazione:

CHCl3(g) + 2 HF(g) → CHClF2(g) + 2 HCl(g)

Il clorodifluorometano viene riscaldato in assenza di aria a bassa pressione e temperatura elevata dove subisce la pirolisi:

CHClF2(g) ⇌ CF2=CF2(g) + 2 HCl(g)

Una volta ottenuto il tertrafluoroetene la temperatura viene rapidamente abbassata e si procede alla polimerizzazione che avviene per via radicalica:

polimerizzazione

Lattami

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Un’ammide è un derivato dell’acido carbossilico formato per reazione tra questi e l’ammoniaca o un’ammina per eliminazione di una molecola di acqua.

sintesi ammide

Le ammidi cicliche vengono chiamate lattami e, a seconda del numero di atomi di carbonio che costituiscono l’anello vengono chiamate:

α-lattame (anello a 3 termini)

β-lattame (anello a 4 termini)

γ-lattame (anello a 5 termini)

δ-lattame (anello a 6 termini)

ε-lattame (anello a 7 termini) detta caprolattame

In figura vengono riportati i primi 4 termini

nomenclatura

Per ottenere un lattame si possono seguire diverse vie sintetiche:

Tale reazione detta riarrangiamento di Beckmann prevede il riarrangiamento di un’ossima in ambiente acido. Per ottenere il caprolattame infatti si può partire dal cicloesanone che viene fatto reagire con l’idrossilammina con ottenimento di un’ossima ciclica.

In presenza di acido solforico l’ossima ciclica dà luogo alla formazione del caprolattame che viene utilizzato per la sintesi del Nylon 6 detto policaprolattame:

caprolattame

  • Dalla reazione tra un chetone ciclico e l’acido idrazoico HN3 in ambiente acido per acido solforico
  • Dalla ciclizzazione di un amminoacido

I β-lattami costituiscono la struttura di base di una classe di antibiotici come le cefalosporine e le penicilline che impediscono la sintesi della parete cellulare dei batteri.

La polimerizzazione dei lattami porta alle poliammidi.

 

Etene

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L’etene o etilene, il più semplice degli alcheni, ha formula CH2=CH2 e struttura planare in cui gli atomi di carbonio sono ibridati sp2.

L’ angolo di legame H-C-H è di 117.4° di poco diverso rispetto a quello di 120° previsto teoricamente per questo tipo di ibridazione.

E’ un gas incolore a temperatura ambiente e a pressione atmosferica, caratterizzato da un lieve odore dolciastro, infiammabile ed essendo una molecola non polare è solubile in solventi non polari e scarsamente solubile in acqua.

L’etene è un fitormone che viene sintetizzato dalle piante a partire dall’amminoacido metionina; esso regola la maturazione dei frutti, l’espansione degli organi, la risposta allo stress e la senescenza. Isolato nel 1934 da mele in maturazione fu dimostrata la sua funzione di fitoregolatore

A livello industriale l’etene viene ottenuto dal cracking termico del gas naturale, di idrocarburi superiori o dall’etano secondo la reazione:

C2H6(g) ⇌ C2H4(g) + H2(g)  ΔH = + 138 kJ/mol

La reazione è endotermica e quindi è necessario, secondo il Principio di Le Chatelier, erogare calore affinché possa avvenire. Per quanto riguarda la pressione se da un lato una diminuzione di pressione favorisce la formazione dei prodotti in quanto la variazione del numero di moli è pari a Δn = 1 + 1 – 1= +1 dall’altro la diminuzione di pressione agisce sulla cinetica della reazione rallentandola notevolmente. I due effetti competitivi vengono compensati con una pressione pari, o di poco inferiore, a quella atmosferica.

L’etene può essere inoltre ottenuto:

  • per disidratazione dell’etanolo in presenza di acido solforico concentrato secondo la reazione:

CH3CH2OH(g) → C2H4(g) + H2O(g)

  • per reazione dell’1,2-dicloroetano in presenza di polvere di zinco:

ClCH2CH2Cl + Zn → C2H4 + ZnCl2

  • per deidroalogenazione del cloroetano in presenza di KOH secondo la reazione:

CH3CH2Cl + KOH → C2H4 + KCl + H2O

  • per idrogenazione dell’etino in condizioni controllate alla temperatura di 200°C in presenza di Nickel-Raney:

HC≡CH + H2 → C2H4

L’etene dà luogo alle reazioni tipiche degli alcheni stante la sua alta reattività dovuta alla presenza del doppio legame carbonio-carbonio:

  • addizione di alogeni con formazione di un dialogenuro vicinale:

C2H4 + X2 → XCH2CH2X

C2H4 + HX → CH3CH2X

  • addizione di acqua in ambiente acido con formazione di un alcol:

C2H4 + H2O → CH3CH2OH

  • idrogenazione catalitica in presenza di Nickel-Raney con formazione dell’etano:

C2H4 + H2 → CH3CH3

  • combustione:

C2H4 + 3 O2 → 2 CO2 + 2 H2O

2 C2H4 +  O2 → 2 C2H4O

L’ossido di etilene a sua volta, in presenza di acqua, dà luogo alla formazione del glicole etilenico:

C2H4O + H2O → HO-CH2CH2-OH

  • L’etene è il monomero di partenza per ottenere il polietilene :

n C2H4 → -(CH2-CH2)n

  • ossidazione ad acetaldeide in presenza di acqua e cloruro di palladio:

C2H4 + H2O + PdCl2 → CH3CHO + Pd + 2 HCl

Acido draconico

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L’acido 4-metossibenzoico detto acido anisico o acido draconico è un acido carbossilico che presenta, in posizione para, il gruppo –OCH3. E’ un acido debole con un valore di pKa pari a 4.47.

E’ presente in natura nell’anice ma può essere sintetizzato a partire dall’acido benzoico, idrossido di sodio e dimetilsolfato e successiva acidificazione:

sintesi-acido-draconico

E’ un solido cristallino di colore bianco scarsamente solubile in acqua ma solubile in solventi organici come l’etanolo, l’acetato di etile e il dimetiletere.

Ha proprietà antisetticche ed è un utile intermedio nelle sintesi organiche e nella sintesi di alcuni farmaci.

Può essere usato quale antimicrobico e per combattere muffe e lieviti. Per la sua fragranza e assenza di tossicità viene usato quale aromatizzante negli alimenti ma viene impiegato in prodotti quali shampoo e in alcune preparazioni quali bagnoschiuma e doccia-gel e cosmetici per pelle grassa. Viene unito alle preparazioni allo zolfo per il trattamento dell’acne e della forfora.

E’ utilizzato quale intermedio nella preparazione di vernici e come colorante.

Resine melamminiche

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Le resine melamminiche sono polimeri termoindurenti ottenuti per policondensazione della melammina con la formaldeide.

La melammina il cui nome I.U.P.A.C. è 2,4,6-triammino-1,3,5-triazina è un  eterociclo basico

melammina

che fu sintetizzata per la prima volta da Justus von Liebig nel 1834 e attualmente viene ottenuta a partire dall’urea. Quest’ultima viene fatta passare su un letto di gel di silice che agisce da catalizzatore alla temperatura di circa 400°C secondo la reazione:

6 CO(NH2)2 → C3N6H6 + 6 NH3 + 3 CO2

La melammina viene rimossa dalla superficie del catalizzatore mediante un flusso di ammoniaca gassosa; la miscela gassosa contenente non solo melammina ma anche ammoniaca e biossido di carbonio viene raffreddata con conseguente condensazione della melammina.

La formaldeide viene prodotta dall’ossidazione catalitica del metanolo in presenza di argento metallico che agisce da catalizzatore.

Il processo complessivo può essere visto come una combinazione di una ossidazione parziale del metanolo e da una deidrogenazione del metanolo:

CH3OH + ½ O2 → HCHO + H2O  ΔH = – 159 kJ/mol

CH3OH → HCHO + H2   ΔH = + 84 kJ/mol

La reazione totale è altamente esotermica e veloce e ha, come sottoprodotti di reazione CO2, CO, H2, H2O, HCOOH e HCOOCH3.

La resina melammina formaldeide (MF) viene sintetizzata dalla reazione tra melammina e formaldeide in rapporto 1:3 in condizioni basiche in presenza di tetraidrofurano.

Si ha quindi la formazione di  trimetilolmelammina che, posta in ambiente leggermente acido, dà luogo al processo di policondensazione con formazione d’acqua. Il polimero ottenuto può essere rappresentato dalla struttura:

polimero

Il prodotto derivante dalla policondensazione viene poi essiccato, macinato e ad esso sono aggiunti additivi. La polvere così ottenuta viene stampata a 130-170 °C e in tale fase avviene la reticolazione che rende il polimero infusibile.

La resina presenta buona resistenza alle alte temperature, all’umidità e agli agenti chimici, all’abrasione ed è inoltre dotata di notevole trasparenza alle radiazioni luminose.

Viene usata prevalentemente nella produzione di laminati plastici noti con il nome di fòrmica, articoli casalinghi, colle e vernici.

La schiuma di melammina è un copolimero costituito da melammina, formaldeide e bisolfito di sodio che trova utilizzo soprattutto come materiale isolante e fonoassorbente

Tetraidrofurano

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Il tetraidrofurno (THF) è un eterociclo ed in particolare è un etere ciclico. Ha formula C4H8O e si presenta come un liquido incolore, bassobollente, volatile e dall’odore caratteristico che ricorda quello dell’acetone.

E’ dotato di un ottimo potere solvente nei confronti di molti composti organici; è miscibile con l’acqua e con tutti i solventi organici di uso comune.

Il tetraidrofurano è un solvente aprotico con una costante dielettrica di 7.6 ed è un solvente di media polarità in grado di solubilizzare composti sia polari che non polari.

Il tetraidrofurano viene sintetizzato a livello industriale per disidratazione dell’1,4-butandiolo in presenza di acido p-toluensolfonico

tetraidrofurano

Un altro metodo sintetico del tetraidrofurano consiste nell’idrogenazione catalitica del furano in presenza di nichel.

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Il tetraidrofurano in ambiente acido e in presenza di acqua dà luogo all’apertura dell’anello con formazione dell’1,4-butandiolo. Nel primo stadio avviene la protonazione dell’ossigeno; il successivo attacco dell’acqua che agisce da nucleofilo porta all’apertura dell’anello che, a seguito di deprotonazione porta al prodotto di reazione

reazione-con-acqua

Con un meccanismo analogo il tetraidrofurano in presenza di acido bromidrico  si trasforma in 1,4-dibromobutano

reazione-con-hbr

In presenza di acidi forti il tetraidrofurano tramite un meccanismo di polimerizzazione cationica dà luogo alla formazione del politetrametilene etilen glicole (PTMEG):

n C4H8O → -(CH2CH2CH2CH2O)n

Questo polimero trova utilizzo nella sintesi di poliuretani termoplastici a seguito della reazione con un poliolo a basso peso molecolare come il butandiolo e un isocianato come il difenilmetano diisocianato C15H10N2O2 che è un diisocianato aromatico.

La presenza di due doppietti elettronici solitari non impediti stericamente presenti sull’ossigeno favorisce la formazione di composti di coordinazione con lo ione litio, lo ione magnesio e i borani.

Viene elettivamente usato in molte reazioni sia per le sue caratteristiche di solvente che per le sue capacità complessanti come, ad esempio nella preparazione dei reattivi di Grignard e nell’idroborazione.

Viene inoltre usato come fase mobile nella cromatografia a permeazione su gel e come solvente del PVC.

Idrogenazione catalitica

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L’idrogenazione è un tipo di reazione che prevede la reazione di idrogeno gassoso con una specie in presenza di un opportuno catalizzatore.

A seconda della specie reagente si possono verificare la rottura di doppi o tripli legami presenti rispettivamente negli alcheni e negli alchini o una reazione di riduzione come nel caso di aldeidi e chetoni in alcol.

L’idrogenazione costituisce una reazione fondamentale nell’ambito dell’industria petrolchimica in quanto nel petrolio greggio sono presenti molti composti insaturi di scarso utilizzo.

Nel campo dell’industria alimentare l’idrogenazione viene usata per convertire i grassi polinsaturi per saturare parzialmente i doppi legami convertendo gli oli vegetali in grassi solidi come quelli che sono presenti nella margarina.

Le reazioni di idrogenazione catalitica vengono realizzate generalmente in fase eterogenea; vengono effettuate in presenza di catalizzatore in quanto pur essendo in genere favorite da un punto di vista termodinamico non lo sono da un punto di vista cinetico stante la forza del legame tra i due atomi di idrogeno presenti nella molecola di H2. Per accelerare il decorso della reazione o si deve operare ad elevate temperature o si può usare un catalizzatore come rutenio, palladio, cobalto, rodio, platino e Nichel Raney sebbene quest’ultimo catalizzatori richiede, rispetto ai precedenti, pressioni più elevate. Più raramente può essere usato iridio,rame e renio.

Le caratteristiche che deve presentare un catalizzatore eterogeneo sono: elevata attività, alta selettività, possibilità di riciclo. L’attività e la selettività dipendono dalla scelta del metallo che influenza la forza di adsorbimento dei reagenti, la velocità di desorbimento dei prodotti di reazione e la velocità delle trasformazioni chimiche.

I catalizzatori eterogenei possono essere supportati ovvero dispersi in forma di nanoparticelle su supporti porosi come carbone attivo, allumina, silice-allumina, carburo di silicio, carbonato di calcio o solfato di bario.

I catalizzatori eterogenei trovano applicazione in una vasta gamma di reazioni a seconda del metallo usato; ad esempio catalizzatori di palladio supportati vengono utilizzati nella riduzione dei legami multipli carbonio-carbonio, mentre quelli di rodio per la riduzione di composti aromatici, quelli al rutenio per la riduzione oltre che di composti aromatici anche per la riduzione del gruppo gruppo carbonilico e carbossilico.

I catalizzatori supportati presentano alcuni vantaggi tra cui la facilità di separazione dal mezzo di reazione e un uso più efficace della superficie metallica, in quanto il metallo è generalmente depositato sotto forma di nanoparticelle che consentono l’aumento della superficie di contatto.

Nelle applicazioni industriali quando viene effettuata un’idrogenazione si presenta un problema di selettività: il prodotto di reazione che si vuole ottenere, infatti, è solo uno dei possibili prodotti che si possono ottenere a seguito della stessa. La velocità di formazione dei vari prodotti possibili dipende da alcuni parametri quali la temperatura, la pressione, la concentrazione dei reagenti e la quantità di catalizzatore ed è quindi necessario ottimizzare tali parametri per ottenere un’alta resa di reazione.

Ad esempio nell’idrogenazione catalitica catalizzata dal rodio del benzene in cui sono presenti il cloro e il nitrogruppo elevate pressioni favoriscono la riduzione selettiva del nitrogruppo mentre a basse pressioni viene favorita l’idrogenolisi del legame carbonio-cloro.

I solventi sono una componente importante ma non indispensabile nell’ idrogenazione catalitica eterogenea. Un substrato liquido può infatti essere idrogenato in assenza di solvente, anche se i solventi sono utili in quanto influenzano fortemente la velocità di reazione e la selettività e fungono da dissipatori di calore.

L’idrogenazione può essere effettuata in una varietà di solventi, da acqua a solventi organici non polari. Reazioni di idrogenazione catalizzate da metalli del gruppo del platino può essere effettuata in acqua, alcoli,tetraidrofurano (THF), acetato di etile o più raramente dimetilformammide (DMF), acetone, eteri o esano.

L’idrogenazione catalitica eterogenea è un processo che può essere pericoloso in quanto l’idrogeno, a contatto con l’aria può formare una miscela esplosiva ed inoltre il catalizzatore, specie quando è esaurito diventa piroforico. Occorre pertanto effettuare uno studio cinetico e termodinamico della reazione considerando anche le possibili reazioni collaterali, isolare possibili fonti che possano generare combustione, evitare l’accumulo di reagenti la cui alta concentrazione potrebbe causare reazioni incontrollate.

Le reazioni di idrogenazione catalitiche sono in genere processi a costi relativamente contenuti in quanto il catalizzatore metallico può essere spesso recuperato.


Dimetilsolfossido

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Il dimetilsolfossido (DMSO) ha formula CH3SOCH3 ed è un composto organico appartenente alla famiglia dei solfossidi ovvero a quei composti in cui è presente un gruppo solfenile > S=O.

Stante l’elevata differenza di elettronegatività tra lo zolfo e l’ossigeno il legame si presenta polare e pertanto un solfossido può essere rappresentato dalle seguenti strutture limite di risonanza:

risonanza DMSO

Il dimetilsolfossido è classificato come un solvente polare aprotico che si differenzia dai solventi polari protici come acqua, etanolo e acidi carbossilici in quanto non è un donatore di ioni H+.

Il dimetilsolfossido ha un elevato punto di ebollizione ed è miscibile con l’acqua e molti solventi organici come eteri, esteri, alcoli e composti aromatici ed è stabile a una temperatura superiore ai 100°C sia in ambiente acido che basico.

Il dimetilsolfossido ha assunto un ruolo importante negli ultimi anni in quanto alle ottime capacità solventi di composti sia organici che inorganici è economico e facilmente sintetizzabile. E’ un solvente di molti composti aromatici e idrocarburi insaturi, composti organici contenenti azoto o zolfo e di molti sali inorganici

Sintesi:

A livello industriale il dimetilsolfossido viene ottenuto per reazione del dimetilsolfuro e un eccesso di ossigeno alla temperatura di 15-50°C in presenza di NO2.

Può essere ottenuto dalla reazione tra il dimetilsolfuro e un perossido come H2O2 o un perossiacido.

Reazioni:

Il dimetilsolfossido reagisce con forti agenti ossidanti per dare il dimetilsolfone CH3SOOCH3 ma in ambiente alcalino per NaClO l’ossidazione è accompagnata dalla clorazione per sostituzione dell’idrogeno con il cloro.

Il dimetilsolfossido può essere ridotto in presenza di forti agenti riducenti quali l’idruro di alluminio. I mercaptani riducono il dimetilsolfossido in ambiente acido per dare un tioetere e un disolfuro:

CH3SOCH3 + 2 RSH → CH3SCH3 + RSSR + H2O

Il dimetilsolfossido reagisce con gli idruri per dare un carbanione:

CH3SOCH3 + NaH → Na++ CH2SOCH3 + H2

Quest’ultimo reagisce con gli alogenuri alchilici primari per dare un solfossido:

CH3(CH2)3CH2Br + CH2SOCH3 → CH3(CH2)3CH2CH2SOCH3 + Br

Il dimetilsolfossido può essere alogenato con cloro o bromo in ambiente basico.

La reazione tra DMSO, piridina e bromo in cloroformio a 0°C dà luogo alla formazione di bromometil, metil solfossido CH3SOCH2Br.

Il dimetilsolfossido è usato in molti processi industriali come, ad esempio, nella produzione di poliacrilonitrile, l’estrazione di idrocarburi aromatici, la fabbricazione di pesticidi e di prodotti usati dall’industria per la sverniciatura e per la pulizia.

Fenolo

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Il fenolo è un composto organico aromatico caratterizzato dalla presenza di un gruppo –OH legato all’anello benzenico ed ha formula C6H5OH.

Contrariamente agli alcoli che hanno un valore di Ka molto basso, il fenolo ha un Ka dell’ordine di 3.2 ∙ 10-16 ed è un acido un milione di volte più forte del cicloesanolo. La maggiore acidità del fenolo è dovuta al fatto che la sua base coniugata ovvero l’anione fenossido C6H5O è stabilizzata per risonanza potendo delocalizzare la carica negativa all’interno dell’anello benzenico

fenossido

Sintesi

Il fenolo può essere sintetizzato a livello industriale tramite il processo al cumene noto anche come processo Hock. Il cumene, il cui nome I.U.P.A.C. è etilmetilbenzene, è un composto costituito da un anello benzenico a cui è legato un gruppo isopropilico e viene ottenuto per alchilazione del benzene con il propene

sintesi cumene

La reazione viene fatta avvenire a circa 300°C e alla pressione di 10 atm: il benzene e il propene vengono fatti fluire in un reattore a letto fluido su un catalizzatore acido come  la zeolite ZSM-5. Tale metodo sintetico è più economico e meno inquinante rispetto a quello tradizionale in cui veniva usato cloruro di alluminio come acido di Lewis.

Nel secondo stadio della reazione il cumene viene ossidato a idroperossido di cumene in presenza di ossigeno a una temperatura compresa tra 80 e 120°C e a una pressione compresa tra 1 e 7 atm:

ossidazione cumene

Nel terzo stadio l’idroperossido viene trattato con acido solforico diluito a una temperatura compresa tra 60 e 70°C con ottenimento di acetone e fenolo

sintesi-fenolo

Questa reazione porta alla formazione di elevate quantità di acetone rispetto al fenolo e pertanto sono allo studio sintesi alternative tra cui l’ossidazione del benzene in presenza di monossido di diazoto

Reazioni

Il fenolo è caratterizzato dalla presenza del gruppo –OH che è un gruppo attivante e orto,para direttore pertanto dà luogo alle reazioni tipiche del benzene di sostituzione elettrofila aromatica come alchilazione e acilazione di Friedel-Craft, nitrazione, solfonazione e alogenazione.

Può inoltre dare reazioni di combustione e reazioni di esterificazione; in presenza di alogenuri acilici può dare una C-acilazione in presenza di cloruro acilico o anidride e cloruro di alluminio che corrisponde a una sostituzione elettrofila aromatica o a una O-acilazione  in presenza di cloruro acilico o anidride che corrisponde a una sostituzione nucleofila acilica

acilazione

Il prodotto della C-acilazione è più stabile (controllo termodinamico) e si verifica in presenza di cloruro di alluminio mentre il prodotto della O-acilazione si forma più rapidamente (controllo cinetico).

La O-acilazione viene favorita in ambiente acido che causa la protonazione dell’agente acilante aumentandone l’elettrofilicità o in ambiente basico che provoca la deprotonazione del fenolo aumentandone la nucleofilicità

Usi

Il fenolo viene usato principalmente per ottenere il Bisfenolo A monomero per la sintesi di policarbonati. La parziale idrogenazione del fenolo dà luogo alla formazione di cicloesanone , importante composto di partenza per la sintesi del nylon.

Il fenolo viene inoltre utilizzato per ottenere coloranti, esplosivi, prodotti farmaceutici e materie plastiche oltre che come solvente.

Per i suoi effetti tossici sul sistema nervoso il fenolo è tristemente noto per essere stato usato, tramite iniezione letale, dai nazisti nei campi di sterminio.

 

Acido benzoico

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L’acido benzoico è un acido carbossilico aromatico e ha formula C6H5COOH. E’ un solido incolore cristallino scarsamente solubile in acqua sebbene la sua solubilità in acqua sia largamente influenzata dalla temperatura. E’ solubile in benzene, acetone, tetracloruro di carbonio, cloroformio, etere etilico ed altri solventi organici.

L’acido benzoico in natura è presente, insieme ai suoi derivati, nella frutta e specialmente nei mirtilli rossi e in alcune piante e resine.

Dalla reazione dell’acido benzoico con una base si ottiene un sale: ad esempio dalla reazione tra acido benzoico e idrossido di sodio si ottiene il benzoato di sodio che, insieme all’acido benzoico, viene usato come conservante alimentare. Tali sostanze infatti sono in grado di bloccare il metabolismo di batteri e lieviti e vengono utilizzati nelle bevande analcoliche aromatizzate, nelle bevande alcoliche e nelle confetture esplicando un’azione ottimale a valori di pH minori di 3.6.

L’acido benzoico viene utilizzato anche quale conservante nei cosmetici se il pH della formulazione è inferiore a 5.5.

L’acido benzoico può essere ottenuto per ossidazione del toluene usando permanganato di potassio in ambiente basico:

dal-toluene

A livello industriale viene preparato per ossidazione del toluene in presenza di ossigeno alla temperatura di 200°C usando, quali catalizzatori naftenati di cobalto o manganese

sintesi-industriale

Il  gruppo –COOH, a causa dell’effetto elettronattrattore, è un medio disattivante nelle reazioni di sostituzione elettrofila aromatica dell’anello benzenico e pertanto queste reazioni avvengono in posizione meta.

Le reazioni dell’acido benzoico coinvolgono quindi prevalentemente il gruppo carbossilico.

Dalla reazione dell’acido benzoico con un alcol si ottiene un estere come il benzoato di benzile che viene usato quale aroma artificiale, conservante e solvente, ma trova impiego in campo medico nel trattamento della scabbia.

Dalla reazione con un’ammina si ottiene un’ammide, dalla reazione con  pentacloruro di fosforo o con cloruro di tionile si ottiene il cloruro di benzoile. Quest’ultimo è una specie altamente reattiva ed è il precursore di altre sostanze come il perossido di benzoile usato come iniziatore radicalico nelle reazioni di polimerizzazione.

L’acido benzoico può essere convertito in fenolo in presenza di rame o magnesio che agiscono da catalizzatori o in ε-caprolattame utilizzato nella produzione del nylon 6.

L’acido benzoico e l’acido salicilico costituiscono i componenti dell’unguento di Whitfield  che viene usato per il trattamento delle micosi cutanee.

Alanina

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L’alanina (Ala) ovvero acido 2(S)-amminopropanoico è un α-amminoacido non essenziale conosciuta per essere stata scoperta e sintetizzata molto prima del suo isolamento da fonti naturali.

Già nel 1850, questo aminoacido infatti, fu sintetizzato da Adolph Strecker facendo reagire acetaldeide con cloruro di ammonio e cianuro di sodio e solo nel 1879 fu isolata da fonti naturali ed in particolare dalla fibroina presente nella seta.

L’alanina è un amminoacido non polare e presenta un carbonio asimmetrico ed è quindi chirale e dopo la glicina è il più piccolo degli amminoacidi.

L’enantiomero L è prevalente in natura e contenuto in carne, pollame, uova, latticini, pesce, legumi, noci, soia, riso integrale, mais e cereali.

alanina

Il carbonio α, otticamente attivo, è legato a un gruppo metilico pertanto l’alanina viene classificata come un amminoacido alifatico non polare e quindi idrofobo.

L’alanina gioca un ruolo fondamentale in quanto entra a far parte di una via metabolica detto ciclo alanina-glucosio: nel corso di sforzi fisici intensi si verifica una diminuzione di glucosio nel sangue e un aumento di acido lattico.

I muscoli quindi aumentano l’ossidazione di acidi grassi e di amminoacidi ed in particolare degli amminoacidi ramificati che insieme al piruvato danno luogo alla formazione di alanina secondo il meccanismo di transaminazione; l’alanina rilasciata passa al fegato e subisce una deaminazione con produzione di ammoniaca e di una molecola dal cui scheletro carbonioso si ottiene il glucosio che viene rimesso in circolo e utilizzato come fonte energetica.

Acidi grassi polinsaturi

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Gli acidi grassi sono acidi monocarbossilici alifatici in genere a lunga catena e a numero pari di atomo di carbonio e sono quindi composti apolari e scarsamente solubili in acqua. Un acido grasso che contiene più di un doppio legame carbonio-carbonio è detto polinsaturo (PUFA). In genere quando sono presenti più doppi legami essi sono separati almeno da un gruppo –CH2

Alla categoria degli acidi grassi polinsaturi appartengono gli acidi grassi essenziali e quelli che conferiscono agli oli siccativi le proprietà caratteristiche.

All’aumentare del numero di doppi legami presenti aumenta la possibilità che avvenga la perossidazione lipidica ovvero la degradazione ossidativa che porta a irrancidimento. Questo è il motivo per il quale l’industria alimentare procede all’idrogenazione dei grassi insaturi per prevenire questo fenomeno.

Gli acidi grassi polinsaturi si trovano nell’olio di lino, di noce, di semi di papavero, di soia, di mais, di semi di girasole, di arachidi, di mandorle, di salmone, di fegato di merluzzo e in molti semi oleosi quali noci, nocciole, pistacchi, mandorle e pinoli.

Tra gli acidi grassi polinsaturi vi è l’acido arachidonico a 20 atomi di carbonio che è introdotto con la dieta ad esempio assumendo olio di arachidi ma può derivare dall’acido linoleico che è un acido grasso essenziale omega-6  nell’organismo come componente dei fosfolipidi di membrana. L’acido arachidonico è legato, all’interno delle cellule ai fosfolipidi di membrana

L’acido arachidonico ha formula C20H32O2 e presenta quattro doppi legami carbonio-carbonio tutti in configurazione cis.

acido_arachidonico

L’acido arachidonico è uno dei precursori degli eicosanoidi detti superormoni in quanto regolano i sistemi ormonali.

Tra gli acidi grassi essenziali polinsaturi di interesse biologico vi sono l’acido linoleico che è il capostipite degli acidi grassi della serie omega-6 e l’acido alfa-linolenico da cui si ottengono gli analoghi della serie omega-3. I termini omega-6 e omega-3 si riferiscono alla posizione del primo doppio legame carbonio-carbonio rispetto al gruppo CH3– terminale quindi negli omega-6 il primo doppio legame si trova tra il sesto e il settimo atomo di carbonio rispetto al gruppo metilico mentre negli omega-3  il primo doppio legame si trova tra il terzo e il quarto atomo di carbonio rispetto al gruppo metilico.
omega 3 e omega 6

L’acido linoleico è contenuto prevalentemente negli alimenti di origine vegetale, come noci, grano, girasole, olio di soia, olio di lino, olio di borraggine, olio di ribes nero.

L’acido alfa-linolenico è contenuto sia in alimenti di origine vegetale come noci, nocciole, mandorle, fagioli, piselli, ceci, lenticchie ma soprattutto nel pesce ed in particolare nelle acciughe, sardine, sgombri, salmoni, tonni e pesce spada

Gli acidi grassi del tipo omega-3 riducono i trigliceridi, rallentano l’accumulo di placca nelle arterie e riducono il rischio di aritmie cardiache. Gli acidi grassi del tipo omega-6 riducono il rischio di diabete, abbassano la pressione sanguigna, sono essenziali per l’accrescimento e lo sviluppo cerebrale.

 

Acido sorbico

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L’acido sorbico il cui nome I.U.P.A.C. è acido 2,4-esandienoico è un acido grasso polinsaturo che presenta due siti di insaturazione e a temperatura ambiente è un solido bianco dall’odore pungente e dal sapore acido.

Fu ottenuto per la prima volta dal chimico tedesco August Wilhelm von Hofmann nel 1859 dalla distillazione dall’olio dei frutti del sorbo da cui fu estratto il lattone dell’acido sorbico venne convertito in acido sorbico per idrolisi.

Viene abitualmente sintetizzato a partire dal trans-2-butenale noto come crotonaldeide e dall’acido bicarbossilico acido propandioico noto come acido malonico in presenza di piridina

acido sorbico

L’acido sorbico ha un valore di pKa pari a 4.76 molto vicino a quello dell’acido acetico e a valori di pH inferiori a 6.5 esplica un’azione antimicrobica e rallenta la formazione di muffe funghi e lieviti e quindi insieme ai suoi sali sorbato di soido, sorbato di potassio e sorbato di calcio viene largamente usato come conservante dall’industria alimentare ed in particolare in prodotti quali yogurt e altri prodotti caseari fermentati, margarina, maionese, preparati a base di frutta, prodotti dolciari, prodotti da forno e vino.

In particolare il sorbato di potassio, che viene preferito all’acido sorbico per la sua solubilità in acqua, viene usato nei vini dolci e semi dolci per impedire una ulteriore fermentazione degli zuccheri.

L’acido sorbico va tuttavia associato all’anidride solforosa che ha azione antiossidante, conservante e antisettica e permette di proteggere il vino dalle ossidazioni e dal catabolismo dei batteri lattici sull’acido sorbico da cui si ottiene esandiolo dal tipico odore di geranio che comprometterebbe le qualità organolettiche del vino.

L’acido sorbico è considerato tra i pochi conservanti alimentari innocui con ADI (Dose Giornaliera Acceptable Daily Intake) di 25 mg per chilo di peso corporeo

Cumarina

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Le cumarine appartengono alla famiglia dei benzopirani di cui la cumarina ovvero l’1-benzopirano-2-one strutturalmente formata da un anello benzenico e uno di pirano condensati è il capostipite.

cumarina

La cumarina è stata isolata per la prima volta nel 1820 dai semi della Dipteryx odorata, una leguminosa tropicale originaria del sud America e, a causa del suo profumo, già dal 1882 è stata utilizzata nei profumi cui conferisce un odore dolce simile a quello della vaniglia e per tale motivo la cumarina viene usata anche negli ammorbidenti.

Le cumarine possono essere sintetizzate tramite una serie di reazioni tra cui la condensazione di Pechmann a partire dal fenolo e da un β-chetoestere in presenza di cloruro di alluminio

sintesi-cumarine

La cumarina è stata usata anche per potenziare l’aroma dei tabacchi da pipa e in alcune bevande alcoliche come il rumsebbene nella gran parte dei paesi ne sia vietato l’uso come additivo alimentare a causa della sua potenziale epatotossicità.

La cumarina viene utilizzata nell’industria farmaceutica quale precursore di molecole che agiscono da anticoagulanti. La cumarina non agisce di per sé come anticoagulante ma si trasforma in dicumarolo 3,3′-metilen-bis(4-idrossicumarina) che agisce come antagonista della vitamina K e pertanto esplica azione anticoagulante.

Per la sua azione anticoagulante la cumarina viene utilizzata come rodenticida oltre che come fungicida.

Inoltre la cumarina riduce significativamente la demolizione delle catecolamine, in particolare dell’adrenalina, a livello vasale, con conseguente miglioramento della capacità contrattile dei vasi sanguigni.

La cumarina si trova nei frutti, radici, cortecce, steli, foglie, rami di una grande varietà di piante tra cui il fagiolo tonka, cannella cassia, lavanda, sedano di montagna, trifoglio giallo dolce, lingua di cervo, e asperula. Le cumarine comprendono una vasta classe di composti presenti nel regno vegetale e si trovano, ad alte concentrazioni, negli oli essenziali ed in particolare nell’olio di cannella e in quello di lavanda.

Le cumarine si rinvengono anche nella frutta come il mirtillo e il lampone, nel tè verde e in altri alimenti come la cicoria. Sebbene siano presenti in tutte le parti di una pianta si trovano a maggiore concentrazione nei frutti e, a seguire, nelle radici, negli steli e nelle foglie.

Quando sono presenti in alte concentrazioni agiscono da soppressori della fame e quindi si ritiene che possa essere prodotta dalle piante come agente chimico di difesa per scoraggiare la predazione.

Tra i derivati della cumarina vi sono le idrossicumarine  che possono essere più o meno metilate  come l’umbelliferone o 7-idrossicumarina che svolge una potente azione antibiotica, l’esculetina o  6,7-diidrossicumarina con proprietà batteriostatiche e antifungine e la scopoletina o 7-idrossi-6-metossicromen-2-one con proprietà antispastiche e ipotensive sono tra le cumarine maggiormente diffuse in natura.

Le furano-cumarine, costituite da un anello furanico condensato con il nucleo della cumarina presentano un esteso sistema di doppi legami coniugati e sono quindi in grado di esaltare l’azione cutanea dei raggi solari, in particolare dei raggi UV, con azione fotosensibilizzante.

furano-cumarine

Tra le furano cumarine vi è lo psolarene che, per effetto dei raggi UV che ne aumentano la reattività si lega a ponte tra due timine e ciò induce errori nella replicazione del DNA provocando la morte delle cellule colpite. Questo meccanismo viene sfruttato per la cura di patologie come la psoriasi dove l’assunzione di psolarene viene associato all’esposizione a raggi UV.

Le pirano cumarine che possiedono un anello piranico condensato con il nucleo della cumarina, come le furano cumarine inducono fotosensibilizzazione e la visnadina, in particolare, ha azione antinfiammatoria e spasmolitica.


Composti naturali contenenti ciclopropano

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Le molecole contenenti un gruppo ciclopropilico sono presenti in numerosi composti naturali tra cui terpenoidi, steroidi e alcaloidi e presentano attività biologiche avendo caratteristiche citotossiche, antimicrobiche, anti HIV, antivirali e agendo da immunosoppressori.

Tra i composti naturali che contengono un gruppo ciclopropilico vi sono le piretrine che vengono prodotte da alcune specie di crisantemi le cui strutture furono determinate nel 1924 dal chimico tedesco Hermann Staudinger e dal chimico croato Leopold Ružička. Le piretrine, a seconda della loro struttura, sono classificate come Piretrina I, Piretrina II, Cinarina I, Cinarina II, Jasmolina I e Jasmolina II tutte contenenti un gruppo ciclopropilico. La piretrina I è rappresentata in figura

piretrina-i

Le piretrine, che attualmente vengono ottenute sinteticamente, sono note fin dall’antichità per le loro proprietà insetticide. Le piretrine naturali sono veleni di contatto che raggiungono rapidamente il sistema nervoso degli insetti alterando la trasmissione degli impulsi nervosi nel sistema nervoso periferico.

Mostrano rapidità d’azione, modesta tossicità nei confronti degli animali a sangue caldo e elevata velocità di degradazione senza lasciare residui pericolosi nell’ambiente.

Un altro composto naturale contenente l’anello ciclopropilico è lo ptaquiloside presente nella felce aquilina e isolato per la prima volta nel 1983.

ptaquiloside

E’ stato dimostrato fin dal 1984 che questa molecola è altamente cancerogena

Per perdita di una molecola di zucchero, lo ptaquiloside genera un composto capace di attaccarsi a vari componenti cellulari, fra cui il DNA, deformandoli ed in ultima analisi innescando il processo tumorale.

La pericolosità per l’uomo discende dalla catena alimentare infatti gli animali eliminano lo ptaquiloside per via mammaria, concentrandolo nel latte, che è quindi una delle principali vie di esposizione umana a questa sostanza.

Una molecola contenente l’anello ciclopropilico che ha effetti contrari allo ptaquiloside è la duocarmicina e i suoi derivati in quanto mostra proprietà antitumorali.

duocarmicina

Le duocarmicine, sono sostanze che alchilano la doppia elica del DNA in corrispondenza di determinate sequenze di basi e che mostrano un singolare effetto di attivazione in situ.

La duocarmicina è di origine animale ed è stata isolata nel 1988 nel Streptomyces, genere di attinomiceti che costituiscono un gruppo di batteri aerobi gram-positivi.

Vi sono inoltre prodotti naturali di tipo terpenico in cui si trovano più anelli ciclopropilici.

Tra questi, i due composti che di maggior importanza sono l’FR900848 l’U-106305 isolati nel 1995, da aziende farmaceutiche nell’ambito della ricerca su nuovi farmaci; l’FR900848 è stato isolato dalla Streptoverticillium fervens mentre l’U-106305 da specie di Streptomyces.

fr900848-e-U106305

Sebbene siano entrambi caratterizzati da una matrice contenente più anelli ciclopropilici il primo ha caratteristiche antifungine mentre il secondo è un inibitore della proteina di trasferimento del colesteril-estere ( CEPT ), che aumenta il livello di colesterolo HDL (colesterolo buono) e riduce il colesterolo LDL (colesterolo cattivo).

Le scoperte relativamente recenti dei composti naturali contenenti ciclopropano fanno ritenere che un mondo nuovo e affascinante possa apportare grandi contributi allo sviluppo della chimica.

Stabilità relativa dei dieni

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I dieni sono composti organici insaturi contenenti due doppi legami e aventi formula generale CnH2n-2 e quindi sono isomeri di gruppo funzionale degli alchini e dei cicloalcheni.

A seconda delle posizioni relative dei doppi legami i dieni vengono classificati in:

  • Dieni isolati ovvero dieni in cui i due doppi legami sono separati da due o più legami semplici come, ad esempio l’1,4-pentadiene CH2=CH-CH2-CH=CH2
  • Dieni cumulati o alleni che presentano due doppi legami consecutivi come, ad esempio, l’1,2-propadiene CH2=C=CH2
  • Dieni coniugati che presentano i due doppi legami separati da un legame singolo come, ad esempio, l’1,3-butadiene CH2=CH-CH=CH2

Per ottenere un’evidenza sperimentale al fine di poter stabilire la stabilità relativa dei tre tipi di dieni ci si può riferire ai calori di idrogenazione.

Vengono riportati i valori di ΔH° relativi all’idrogenazione catalitica di tre dieni isomeri tra loro contenenti 5 atomi di carbonio:

CH3-CH=C=CH-CH3 + 2 H2 → CH3-CH2-CH2-CH2-CH3    ΔH° = – 295 kJ/mol

CH2=CH-CH2-CH=CH2 + 2 H2 → CH3-CH2-CH2-CH2-CH3    ΔH° = – 252 kJ/mol

CH2=CH-CH=CH-CH3 + 2 H2 → CH3-CH2-CH2-CH2-CH3    ΔH° = – 226 kJ/mol

Da questi valori di variazione di entalpia di idrogenazione si rileva che il 2,3- pentadiene che è un diene cumulato ha il valore di ΔH° maggiore,  l’1,4-pentadiene che è un diene isolato ha un valore di ΔH° intermedio mentre l’1,3-pentadiene che è un diene coniugato ha il valore di ΔH° più piccolo.

Poiché quanto più è alto il valore di ΔH° più è instabile l’alchene si deduce che i dieni coniugati sono più stabili rispetto ai dieni isolati che sono più stabili rispetto ai dieni cumulati.

L’ordine di stabilità relativo è quindi:

diene cumulato < diene isolato < diene coniugato

Per comprendere la stabilità relativa dei dieni bisogna tener presenti i due fattori che contribuiscono alla stabilità.

Il primo fattore è costituito dall’ibridazione degli orbitali che formano legami singoli carbonio-carbonio.

Nel caso dell’1, 3-pentadiene il legame singolo tra l’atomo di carbonio 2 e l’atomo di carbonio 3 è formato dalla sovrapposizione di un orbitale ibridato sp2 con un altro orbitale ibridato sp2 mentre nel caso dell’1,4-pentadiene vi sono due legami singoli rispettivamente tra il carbonio 2 e il carbonio 3 e tra il carbonio 3 e il carbonio 4 che sono dati dalla sovrapposizione tra un orbitale ibridato sp2 con un orbitale ibridato sp3.

Gli elettroni quanto più sono vicini al nucleo tanto più il legame è forte e poiché un elettrone 2s è mediamente più vicino al nucleo rispetto a un elettrone 2p, ciò implica che un legame formato dalla sovrapposizione di un orbitale ibridato sp2 con un altro orbitale ibridato sp2 è più forte rispetto a un legame formato dalla sovrapposizione di un orbitale ibridato sp2 con un altro orbitale ibridato sp3. Infatti un orbitale sp2 ha un carattere s del 33.3% mentre un orbitale sp3 ha un carattere s del 25%.

Un diene coniugato presenta quindi un legame singolo più forte rispetto a un diene isolato con la conseguenza che il composto è più stabile.

L’altro fattore che stabilizza il diene coniugato rispetto a quello isolato è la delocalizzazione degli elettroni. Nel diene isolato, infatti, gli elettroni π in ognuno dei due doppi legami sono localizzati tra i due atomi di carbonio mentre nel diene coniugato gli elettroni π sono delocalizzati e ciò contribuisce ad una maggiore stabilità.

Confrontiamo ora il diene cumulato con quello isolato. Il diene cumulato, contrariamente agli altri dieni, ha un atomo di carbonio ibridato sp. Uno degli orbitali p del carbonio centrale dell’allene si sovrappone all’orbitale p del carbonio adiacente ibridato sp2. I due orbitali p dell’atomo centrale di carbonio sono perpendicolari tra loro quindi il piano che contiene un gruppo H-C-H è perpendicolare al piano contenente l’altro gruppo H-C-H e quindi non si verifica sovrapposizione con conseguente minore stabilità

Indolo

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L’indolo è un eterociclo aromatico risultante dalla condensazione di un anello benzenico sulle posizioni α e β del pirrolo avente formula C8H7N.

indolo

L’aromaticità dell’indolo è dovuta al fatto che oltre ai tre doppi legami presenti nell’anello benzenico e al doppio legame presente nel pirrolo per un totale di 6 + 2 = 8 elettroni vi è anche il doppietto elettronico solitario dell’azoto che contribuisce alla nuvola elettronica π che è costituito così da un totale di 10 elettroni e rispetta la regola di Huckel per la quale sistemi ciclici planari con una nuvola π ininterrotta contenenti elettroni π in numero di 4n + 2 dove n è un numero intero sono aromatici.

Per questo motivo l’indolo è scarsamente basico in quanto la protonazione dell’azoto porterebbe alla perdita di aromaticità.

L’indolo fu sintetizzato per la prima volta dal chimico tedesco Johann Friedrich Wilhelm Adolf von Baeyer nell’ambito dei suoi studi sul colorante indaco.

L’indolo viene prodotto dalla degradazione del triptofano insieme allo scatolo che è un suo β-metil-derivato è responsabile dell’odore delle feci.

A basse concentrazioni, invece, è il responsabile di alcuni odori  floreali come quello di gelsomino, di fiori di arancio e di Robinia pseudoacacia e trova pertanto utilizzo nel campo dei profumi.

L’indolo è inoltre contenuto nelle frazioni altobollenti del catrame di carbon fossile.

L’indolo e i suoi derivati possono essere ottenuti attraverso molte vie sintetiche tra cui la sintesi di Fischer in cui viene fatto reagire il fenilidrazina e un’aldeide o un chetone in ambiente acido:

sintesi-di-fischer

Questa sintesi può tuttavia portare solo a derivati dell’indolo mentre se si vuole ottenere l’indolo o i suoi derivati si può ricorrere alla sintesi di Madelung tramite una ciclizzazione intramolecolare di una N-fenilammide in presenza di una base forte e elevate temperature.

sintesi-di-madelung

La posizione 3 dell’indolo è la più reattiva nei confronti di un elettrofilo; tramite la reazione di Mannich si ottengono indoli sostituiti in posizione 3 tra cui le gramine, alcaloidi indolici ad azione calmante

reazione-di-mannich

Gli alcaloidi indolici di cui il triptofano è spesso il precursore sono numerosi e con diverse e molteplici azioni biologiche. Sono stati estratti da diverse piante appartenenti alla famiglia delle Apocinaceae, Rubiaceae, Leguminosae, Loganiaceae e da funghi delle Clavicipitaceae.

Alcaloidi indolici sono la reseprina con attività antipertensiva, la vinblastina utilizzata nella terapia di alcuni tumori, la fisostigmina utilizzata per la sua caratteristica di inibitore reversibile dell’acetilcolinesterasi, l’ergotamina principio attivo di indicazione specifica per il trattamento dell’emicrania e la yoimbina che ha effetti stimolanti sul sistema nervoso centrale.

Ioni aromatici

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Nel 1931 Huckel pubblicò uno studio teorico basato sulla teoria degli orbitali molecolari secondo il quale si prevedeva che sistemi ciclici planari con una nuvola π ininterrotta contenenti elettroni π in numero di 4n + 2 dove n è un numero intero, avrebbero avuto una stabilità particolari.

Posto n = 0 si ha che un composto contenente (4 x 0) + 2 = 2 elettroni π sia aromatico.

Posto n = 1 si ha che un composto contenente (4 x 1) + 2 = 6 elettroni π come il benzene sia aromatico. Analogamente posto n = 2 si ha che un composto contenente (4 x 2 ) + 2 = 10 elettroni π sia anch’esso aromatico.

Schematizzando:

aromatici  : 2, 6, 10. 14, 18 elettroni π

antiaromatici : 4, 8, 12, 16, 20 elettroni π

Costituiscono quindi esempi di composti aromatici il benzene, il naftalene, l’antracene e il naftacene oltre a composti eterociclici aromatici come furano, pirrolo, imidazolo, piridina, pirimidina, indolo e chinolina.

Oltre ai composti aromatici vi sono specie ioniche che presentano aromaticità. Il più semplice dei carbocationi aromatici e il catione ciclopropenilico avente formula C3H3+

catione-ciclopropenilico

Mentre il ciclopropene non è aromatico pur presentando 2 elettroni π in quanto uno dei tra atomi di carbonio presenti nell’anello è ibridato sp3 e quindi non ha il requisito di avere una nuvola π ininterrotta il catione ciclopropenilico ottenuto dal ciclopropene per rimozione di un idrogeno come ione H+ presenta tutti gli di carbonio ibridati sp2.

Questo catione triangolare planare rispetta la regola di Huckel avendo 2 elettroni π ed infatti tutte le lunghezze di legame C-C sono le stesse.

Un altro ione aromatico è l’anione ciclopentadienilico avente formula C5H5+ .

Esso deriva dal ciclopentadiene che presenta 4 atomi di carbonio ibridati sp2 e un atomo di carbonio ibridato sp3 a cui sono legati due atomi di idrogeno.

La rimozione di uno di questi idrogeni come ione H+ operata, ad esempio dalla sodioammide, dà luogo alla formazione di un anione in cui il carbonio inizialmente ibridato sp3 diviene ibridato sp2.

Questo anione pentagonale planare rispetta la regola di Huckel avendo (4 x 1) + 2 = 6 elettroni π. Esso presenta cinque strutture limite di risonanza e la carica negativa viene condivisa in ugual misura da tutti gli atomi di carbonio

anione-ciclopentadienilico

 

Il cicloeptatriene non è un composto aromatico in quanto, pur presentando (4 x 1) + 2 = 6 elettroni π come il benzene ha un carbonio ibridato sp3 e quindi non ha il requisito di avere una nuvola π ininterrotta.

Il catione cicloeptatrienile, noto come ione tropilio in cui tutti gli atomi di carbonio sono ibridati sp2 , ottenuto dalla reazione tra il cicloeptatriene e il bromo o il pentacloruro di fosforo presenta una struttura eptagonale planare con uguali lunghezze di legame C-C in cui la carica positiva è delocalizzata sui 7 atomi di carbonio del ciclo ed è quindi aromatico

ione-tropilio

L’1,3,5,7 cicloottatetraene è un composto non aromatico in quanto non è planare e ha 8 elettroni π quindi non rispetta la regola di Huckel: infatti esso dà luogo a reazioni di addizione tipiche degli alcheni.

Viceversa  il dianione del cicloottatetraene C6H82- ottenuto per reazione del cicloottatetraene con il potassio manifesta proprietà aromatiche infatti presenta 10 elettroni π, una struttura ottagonale planare con uguali lunghezze di legame C-C in cui le cariche  negativa sono delocalizzate sugli atomi di carbonio del ciclo ed è quindi aromatico

dianione-del-cicloottatetraene

Azulene

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L’azulene è un composto organico aromatico biciclico isomero del naftalene costituito da due anelli condensati costituiti da 7 e da 5 atomi di carbonio rispettivamente.

azulene

L’azulene quindi pur essendo un composto aromatico non contiene un anello costituito da sei atomi di carbonio. Ha un odore simile a quello del naftalene, ma contrariamente ad esso che è di colore bianco, è caratterizzato da una colorazione blu atipica per una molecola semplice.

L’azulene inoltre presenta un momento dipolare di 1.08 Debye mentre il naftalene ha momento dipolare nullo.

Queste caratteristiche inusuali sono da imputarsi alla particolare struttura dell’azulene in cui è presente un eccesso di carica negativa nell’anello a cinque termini e un eccesso di carica positiva nell’anello a sette termini.

Viene infatti suggerito che esso sia costituito dalla fusione del catione cicloeptatrienilico e dell’anione ciclopentadienilico entrambi aromatici e ciò giustifica la presenza di momento dipolare in quanto la densità di carica elettrica è concentrata nell’anello a cinque termini.

L’aromaticità del composto è confermata dalla sua planarità e dal numero di elettroni π che è pari a 10 e quindi coerenti con la regola di Huckel secondo la quale uno dei requisiti di un composto per essere aromatico è quello di possedere un numero di elettroni π pari a 2n + 2 con n numero intero.

L’aromaticità dell’azulene è coerente con la sua reattività in quanto dà luogo, come i composti aromatici a reazioni di sostituzione come la reazione di Friedel-Craft piuttosto che reazioni di addizione in cui, a causa della rottura di un doppio legame verrebbe a perdere l’aromaticità.

L’azulene era noto fin dal XV secolo essendo stato ottenuto per distillazione della camomilla e veniva usato sia come colorante sia per i suoi effetti benefici. Viene rinvenuto anche nella achillea e nell’assenzio ma la specie che mostra il suo tipico colore blu è il Lactarius indigo fungo diffuso in centro America, Nord America e in Estremo Oriente.

L’azulene è una sostanza liposolubile con proprietà lenitive, decongestionanti, calmanti e antinfiammatorie. Per queste sue proprietà e, in sinergia con altre sostanze, è contenuto in diverse preparazioni cosmetiche come creme, maschere, emulsioni, decongestionanti, doposole, latte detergente, dentifrici e shampoo.

La crema all’azulene è indicata per pelli sensibili e facilmente irritabile mentre la maschera all’azulene in cui è presente anche il succo di Aloe è indicato per gli arrossamenti cutanei provocati da fattori esterni come eccessiva esposizione ai raggi solari, sbalzi termici e freddo intenso.

Note marche di dentifrici utilizzano l’azulene, unitamente a cloruro di sodio e cloruro di benzalconio per ottenere un prodotto particolarmente indicato per l’azione antinfiammatoria, detergente e protettiva delle gengive.

L’olio di camomilla romana contenente un’alta percentuale di azulene era conosciuta e utilizzata già nell’Antichità, soprattutto in Grecia per le sue virtù lenitive, calmanti e antinfiammatorie.

 

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